mercoledì 4 settembre 2013

Perché?

Se davvero la specie umana è così animale, anzi, tra gli animali è bestiale, e se davvero l'intelletto umano ha il suo habitat nell'irragionevolezza e nell'egoismo, non è il giudizio finale, che "tutto è vanità"?
Che qualsiasi azione si intraprenda, è pura vanità, cioè in vano?

Stranamente, molto stranamente, una giustificazione per non rimanere inerti la ho. E stranamente non ho bisogno di cercarla. Ne sono certo.

Si, il sole finirà ingrossandosi e la terra sparirà. O forse un corpo celeste molto colliderà con il pianeta e distruggerà tutta la vita esistente.
Ma tra la certezza lontana, la certezza della fine della specie umana, o della fine della vita sul pianeta, e il forse di un cataclisma fatale ... c'è anche spazio per un forse costruttivo.
Un forse che continua una esigua e corta linea di evoluzione del pensiero, della nobiltà e della ricerca per la verità.
E il forse lo alimentiamo con una fiaccola che assegniamo alla generazione che ci segue.

Ecco il perché.
Per me un perché più incisivo della esistenza di un mitico Dio creatore la cui volontà e i cui progetti confusi sono da perseguire (confondendosi nell'inganno).

Per darci un perché non abbiamo affatto bisogno di forze sovrumane, e poteri speciali.
Dobbiamo distribuire e inculcare la conoscenza che abbiamo di noi stessi a chi ci segue, per evitare ... no, per limitare la ricorrenza di avvenimenti bestiali, e promuovere lo sviluppo della razionalità umana.

Stranamente anche qui non sento la necessità di vedere una meta. Anzi, non credo vi sia alcuna meta.
Come dice Serrat in una canzone, il cammino si fa andando.
Il filo è un cammino, la possibilità di costruire su coscienza, conoscenza, strappando per un attimo di storia cosmica forza all'entropia.
La leggenda non ci tramanda altro che l'esortazione "conosci te stesso" (attribuita a Talete), come se fosse un impulso a cui concedersi con slancio.

Lo è. Basta non distrarsi e non dissolversi.

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